“Una foto è sempre di qualcuno, e se io l’ho pubblicata senza averne titolo, ho sbagliato e devo riconoscere la colpa, accordandomi con il legittimo proprietario e corrispondergli il dovuto. Ma questo non giustifica in alcun modo pretese irragionevoli, avanzate senza i dovuti presupposti e adempimenti legali previsti, minacciando giurisdizioni inesistenti e nel quadro di una attività di ciclostile massivo, in cui tutte le richieste sono uguali per tutti. Questo è inaccettabile e queste richieste vanno respinte con forza”.
Il Professor Salvo Dell’Arte è avvocato e docente di diritto della proprietà intellettuale presso l’Università degli studi di Torino.

Il Professor Dell’Arte ha gentilmente accettato di concedermi una intervista sul fenomeno delle società di copyright e delle lettere inviate in tutto il mondo con richieste di denaro.
Professore, lei è uno specialista nella materia del diritto d’autore e del copyright. È al corrente di questo fenomeno di queste società di copyright nate negli ultimi anni, che inviano lettere in tutto il mondo chiedendo cifre spesso ingenti e in tono ultimativo?
Si conosco il fenomeno. Premetto che sono stato spesso l’avvocato dei fotografi, quindi sono naturalmente e professionalmente propenso alla tutela dei loro interessi quando vengono violati. Il diritto d’autore è un diritto assoluto, sacrosanto, che è il risultato dell’intelletto umano, una delle forme più alte dell’espressione umana e dunque una delle situazioni che maggiormente devono essere tutelate, perché se noi ci priviamo del nostro intelletto non siamo più esseri umani. Detto ciò, questo fenomeno un po’ mi imbarazza perché in questo caso mi trovo esattamente dall’altra parte.
Ritiene che queste società perseguano correttamente la tutela del copyright?
No, affatto. Il problema di queste società, definiamole come “di recupero del danno” è nell’utilizzo distorto che fanno della tutela del copyright. Il fatto che loro vadano a sparare come una mitraglia non è corretto e non assicura una reale tutela, anzi la complica.
Quali sono i problemi che rileva?
Anzitutto devono avere il titolo ad agire. Ciò significa dimostrare che hanno un mandato di rappresentanza dall’autore. Poi che quella fotografia appartiene quel determinato autore, e quindi c’è tutta una problematica di prova. Dopodiché devono anche dimostrare il quantum, cioè il prezzo richiesto. Questo prezzo deve essere motivato e provato. Ti chiedo dieci, cento o mille euro in base a cosa? Queste società che non chiariscono e non provano questi aspetti, si pongono in una situazione anomala.
La legge italiana distingue tra foto semplici e opere fotografiche nelle quali è ravvisabile un intervento artistico dell’autore. Queste società non operano alcuna distinzione, trattando tutte le foto allo stesso modo. È una impostazione corretta?
Non è facile distinguere tra foto semplice e opera. In altri ordinamenti, ad esempio in quelli anglosassoni, la fotografia semplice non è tutelata. Per cui in alcuni paesi, la fotografia semplice sarebbe sempre di pubblico utilizzo. In Italia invece anche la foto semplice può essere tutelata, quando ricorrono determinate circostanze. Comunque sia, in generale, il principio è che la foto è sempre di qualcuno e questo qualcuno ha il diritto di sfruttarla. La mia opinione è che il 99% delle foto, siano sempre opera dell’ingegno, e quindi opere fotografiche in quanto è sempre riscontrabile un minimo gradiente di creatività.
Quindi, ordinamenti specifici a parte, il principio è che si può sempre chiedere un compenso o danno o risarcimento per qualunque immagine?
No, bisogna vedere se questo diritto è ancora in piedi. Ad esempio verificare che l’immagine non sia di pubblico dominio, ad esempio.
Quando una immagine è presente senza crediti in molti siti web si può considerare di pubblico dominio e quindi libera?
Assolutamente no. Se è presente in tanti siti web significa solo che è una foto molto venduta o molto rubata. In ogni caso, non è libera.
Le lettere di risarcimento delle società di copyright sono arrivate anche a persone che gestiscono siti web in condivisione, tramite altri fornitori di contenuti, come ad esempio i feed rss, e altre tecnologie per le quali io ricevo contenuti di altri in automatico. In questo caso io non detengo materialmente la foto, né l’ho pubblicata io. Sono responsabile lo stesso?
Direi di si. Comunque l’immagine protetta è apparsa sul quel sito in virtù di un accordo di condivisione per il quale il titolare è tenuto a vigilare su quanto viene veicolato sul sito. Il principio è che io sono sempre responsabile di quello che pubblico o lascio pubblicare sul mio sito.
Riguardo all’uso che faccio della foto, di cronaca, o commerciale, o pubblicitario, c’è differenza rispetto alla violazione?
Rispetto alla violazione no, è sempre una pubblicazione illecita. Rispetto al prezzo da corrispondere al fotografo, si.
Una di queste società, la polacca Photoclaim, utilizza un metodo che vorrei sottoporre alla sua attenzione. Loro inizialmente inviano una lettera in cui contestano una violazione e chiedono di firmare un documento di Cease and desist. Che ne pensa?
Ho visto quel documento. È una vera e propria trappola, molto pericolosa, è un documento che non va mai firmato. Con quel documento io riconosco le loro pretese come vere ed acclarate, accetto la giurisdizione tedesca, il loro metodo di calcolo, le sanzioni previste dalla legge tedesca in caso di inadempimento, insomma ci si consegna in tutto e per tutto alle loro tesi. Non va firmato mai.
Ma secondo lei è corretto tendere una trappola simile?
È molto scorretto. Però guardi, qui il discorso va impostato in questo modo. Non si può rispondere a lettere simili senza l’ausilio di un professionista, di un legale specializzato, che sa vedere e analizzare le pretese e distinguere tra lecito e illecito. A queste lettere, come dimostra questo documento-trappola del Cease and desist, non si può rispondere facendo da sé.
Comunque anche senza firmare il documento di Cease and desist, questi avvocati poi tornano alla carica come se quel documento fosse stato firmato: richiamano la legge tedesca, calcolano il quantum utilizzando una tabella in vigore in Germania. Ma io sono tenuto a conoscere e rispettare la legge tedesca?
Noi siamo tenuti a rispettare l’ordinamento europeo sul tema, ordinamento a cui tutti i singoli ordinamenti dei vari stati dell’Unione devono tendere, secondo i principi generali.
Ma questi avvocati inviano lettere in cui si dice non solo che si è violata la legge tedesca ma che anche i procedimenti legali che si rischiano, sono in tribunali tedeschi, derogando al principio della giurisdizione naturale nel paese del convenuto. Loro fanno riferimento ad una sentenza della Corte di giustizia europea che confermerebbe la loro tesi.
Conosco quella sentenza. Sulla giurisdizione il principio è che i danni si chiedono nel paese dove il convenuto è residente o in alternativa dove il danno totale si è verificato. Se l’accusato è italiano, si chiedono in Italia. Poi certo è vero, io posso adire un tribunale di un paese diverso, ma limitatamente ai danni causati in quel paese. Ma sarei stupido a farlo. Che me ne faccio dei danni parziali, oltretutto da dimostrare euro per euro, quando posso chiedere i danni totali? E comunque quella stessa sentenza che lei cita, dice anche che i danni vanno comunque chiesti laddove si sono verificati.
Questa società invia lettere in cui ipotizza delle cause in Germania, anche quando accusatore e accusato sono entrambi italiani.
No, questo è impossibile. A meno che non si sia firmato quel documento trappola del Cease ad desist, questa ipotesi non è configurabile.
Lei che idea si è fatto su questo punto? Perché cercano di spostare la questione nell’ambito giudiziario tedesco?
Perché ci marciano, altre ipotesi non ne vedo.
Si può parlare in questo caso, di abuso di diritto?
Più che abuso, direi ignoranza del diritto.
Ma lei comprenderà che per una persona qualunque, ricevere queste lettere è inquietante, ha un effetto intimidatorio.
La persona che riceve una lettera del genere dovrebbe opporsi dicendo: stai dicendo una cretinata. La tua pretesa potrebbe anche essere fondata nel merito ma la minaccia di essere citati in Germania è del tutto infondata. Il problema è che queste società vanno di ciclostile: richieste uguali per tutti quanti, a prescindere dal merito dei singoli casi. Non si può pensare di tutelare il copyright in questo modo, né pensare, sotto l’aspetto deontologico di poter fare l’avvocato in questo modo. Non è etico. È necessario che il presunto violatore sia assistito da un legale esperto in questa trattativa per fare le giuste eccezioni (ricordiamo che è comunque in presunto torto avendo utilizzato una fotografia) e trovare rispondenza nella controparte.
Professore, in queste email vengono chieste anche le spese legali. È legittimo?
Assolutamente no. In Italia è illegittimo. Le spese legali sono quantificate dal giudice alla fine di contenzioso, così come è il giudice che stabilisce chi le deve pagare. Ad esempio può condannare il soccombente a pagarle, o compensarle tra le parti. Potrebbe anche farle pagare all’attore, qualora perdesse la causa. È il giudice e soltanto il giudice che può attribuire spese legali.
Riguardo all’uso massivo, migliaia e migliaia di email uguali nel contenuto e con il prezzo già determinato, è un modo corretto di gestire i diritti di copyright?
No, assolutamente. In primo luogo, ogni caso è a sé ed ha delle sue caratteristiche peculiari che non si conciliano certo con le email tutte uguali nella sostanza, inviate a chiunque trovato in possesso di una immagine. E poi tra pretese giurisdizionali dubbie o errate totalmente, pretese economiche sproporzionate ed eccessive, spese legali non dovute, siamo totalmente fuori dai binari di un diritto correttamente esercitato. È come se io andassi da un presunto trasgressore con una pistola e dicessi: mi hai rubato la foto, ora mi paghi. Questo non è esercizio del diritto.
Lei ritiene che si possa intervenire per regolare questo fenomeno?
Un intervento legislativo non lo vedo possibile, in quanto la libertà di iniziativa economica è libera e tale deve restare. Una divulgazione culturale che renda noto che questo fenomeno è scorretto, questo si.
In definitiva, cosa pensa di questo fenomeno?
Che nel 99% dei casi il fotografo ha ragione e che al 99% queste società/agenzie hanno torto. Una fotografia è sempre di qualcuno e a questo qualcuno va riconosciuto qualcosa, se la foto non è stata pubblicata avendone titolo, ad esempio con licenza d’acquisto e utilizzo, o licenza creative commons, o da foto scaricata da sito free, rispettando le condizioni e conservandone gli estremi di quello che è sempre un contratto. Ma il modo in cui lo chiedo, questo modo di cui abbiamo parlato finora, è sbagliato e inaccettabile.
Grazie Giovanni per questa costante azione di informazione e sensibilizzazione… confido davvero che prima o poi ciò cooperi a far esplodere questa bolla dei giustizieri col kalashnikov caricato a “cease and desist”.
Una domanda: che ne è stato dell’agenzia viaggi trascinata davanti alla corte tedesca?
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Sto seguendo il caso. Ci saranno novità a breve.
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Grazie Giovanni ho condiviso su Telegram questo tuo ultimo scritto.
Buon proseguimento
Claudio
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