Un presidente ha distrutto la democrazia e tentato di instaurare una dittatura. Ma forse è il contrario. Una ribellione era già in atto e il presidente ha tentato di stroncarla esagerando nell’attribuirsi poteri straordinari. Ma forse non è ancora così. Forse è colpa di qualcos’altro. Di qualcun altro. Di quello che è successo prima. Di quello che è successo prima ancora. Forse non si saprà mai davvero perché è cominciata la guerra. Ma ormai è cominciata la guerra. E non importa nient’altro.

Civil war è un capolavoro sotto diversi aspetti. È un film sulla fine della democrazia, che va in frantumi definitivamente dopo un progressivo e inarrestabile declino di anni di populismo che l’hanno ridotta a brandelli. Ma non è solo questo. È anche un film sulla disintegrazione, umana e democratica.
Un presidente autoritario che ha fatto a pezzi la costituzione inventandosi un terzo mandato – ultimo presumibile atto di un progressivo svuotamento del principio di separazione dei poteri, obiettivo di tutti i populismi del mondo – provoca una rivolta armata di alcuni stati americani contro il potere ufficiale, il che provoca a sua volta ulteriori ribellioni, più o meno rilevanti, più o meno motivate, più o meno giustificate.
Ma le ribellioni a cui siamo abituati noi occidentali nella nostra narrazione epica e consolatoria, dove buoni e cattivi sono saldamente riconoscibili e giustificabili, al contrario non sono un pranzo di gala, e spesso sono solo il pretesto per molti per sfogare i più bassi istinti, che siano di truppe più o meno legali e istituzionalizzate, sia che si tratti di groppuscoli che indossano una mimetica solo per confondersi con gli esseri umani, quando con questi hanno perso qualunque somiglianza in termini di ragione ed empatia verso l’altro.
“A quale fazione appartenete?”. “A nessuna. C’è uno che vuole ucciderci. E noi lo uccidiamo”.

E così tra giustizie insensate e amministrate in nome di niente, e massacri clandestini stile macelleria balcanica, razzismi finalmente esibiti senza freni, e vendette private finalmente possibili, gli Stati Uniti si disuniscono e si massacrano tra loro, le stelle sulla bandiera calano vistosamente durante la mattanza, in vista di una futura ri-unione su tonnellate di corpi e milioni di litri di sangue versato.
“Siamo americani”. “Che tipo di americani? “Americani di dove?”.

Ma Civil War è anche un film sul giornalismo, sulle immagini, sui reporter di guerra che portano con sè le domande sul senso di rischiare la vita tra le pallottole che fischiano attorno, bombe che esplodono, cecchini impazziti, solo per riportare immagini e dichiarazioni dei protagonisti, come in questo viaggio di quattro cronisti fotoreporter verso una Washington assediata da truppe ribelli alla caccia del presidente.
“Noi scattiamo immagini e raccontiamo fatti, affinché altri facciano le domande” dice la fotoreporter esperta Lee all’allieva che si è unita a loro, incurante dei pericoli e dell’orrore (qui il film riesce a entrare del tutto dentro il Cuore di Tenebra dell’umano, come in Apocalypse now, Platoon e Full Metal Jacket) che, subito, le cadrà addosso in tutta la sua potenza oscura.

Perché alla fine, tra ribelli più o meno giustificati e persone che tentano di vivere la normale vita facendo finta di niente (“Siete al corrente di quello che sta succedendo?”, dice un cronista ad una annoiata commessa di un negozio di abbigliamento che legge un libro mentre sul palazzo ci sono cecchini di non si sa chi e in cerca di non si sa cosa, con lei che risponde “Certo che lo siamo, per questo cerchiamo di non farci coinvolgere”), il problema è che nell’orrore siamo tutti coinvolti. L’orrore ti raggiunge, ti avvolge e ti arruola. Prima o poi.
Civill War è un film importante e prezioso. Duro e non consolatorio. Da vedere.
(Copyright claim: Le immagini di questo articolo sono prese dalla pagina Facebook di Civil War e sonp pubblicate qui a scopo culturale e didattico)
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Grazie Giovanni, come stai? Ho postato questa notizia molto interessante nel mio canale telegram.
Buon proseguimento
Claudio
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Grazie Claudio, un abbraccio. 🙂
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