Sul fenomeno degli avvisi di copyright inviati da società private e da studi legali che ne ricalcano il metodo. c’è da registrare una interessante novità contenuta in una recente sentenza del tribunale di Catanzaro risalente al 2023.
Ma prima di commentare la sentenza e l’interessante novità, è indispensabile fare una premessa e riassumere metodo e merito delle contestazioni di copyright che vengono inviate sia dalle ormai note società private, nate espressamente a questo scopo – Copytrack e Picrights soprattutto dopo che Photoclaim è stata messa fuori gioco dal Garante della Concorrenza – sia da studi legali italiani che hanno intrapreso analoghe attività di tutela del copyright ricalcando gli stessi metodi delle società.
Come ormai noto infatti, società e studi legali contestano violazioni di copyright su qualsivoglia immagine trovata sul web (riconducibile a loro assistiti) e in base a questo fanno partire altrettante lettere/email nelle quali oltre a comunicare che l’immagine in questione è protetta ai sensi della legge 633/41, intimano il pagamento di una somma per l’utilizzo pregresso, quale che sia il tipo di immagine, l’utilizzo della stessa (commerciale, didattico, di cronaca o puramente amatoriale). Nessuna distinzione tra immagine semplice e opera, utilizzo, scopo.
Tutto tutelato, e tutto a pagamento, secondo questa impostazione.
In realtà la legge 633/41, nel distinguere le immagini tra fotografie semplici e opere fotografiche, opera una fondamentale distinzione con relative diverse tutele.
Le opere fotografiche (paragonabili ad altre opere come foto artistiche di grande pregio o provenienti da artisti, opere musicali o cinematografiche, spettacoli eccetera) godono di una tutela maggiore e sono sempre suscettibili di generare un obbligo di compenso in capo all’autore o al detentore de diritti, i quali scadono dopo settanta anni dalla morte dell’autore.
Al contrario, le foto cosiddette semplici (la legge le definisce: “fotografie raffiguranti il vivere quotidiano“) invece godono di una tutela più limitata, sia come scadenza dei diritti, vent’anni dalla data di produzione della foto, sia come possibilità di chiedere un compenso per l’utilizzo, che è possibile solo a determinate condizioni.
Posto che l’ultima parola su cosa sia immagine semplice e cosa sia opera la statuisce solo un giudice all’interno di un contenzioso giudiziario, molto genericamente possiamo dire che le immagini semplici comprendono quello che chiunque in un certo momento potrebbe ritrarre, ovvero, paesaggi, luoghi pubblici, persone in luoghi pubblici quando non siano esse il soggetto della foto, situazioni, appunto del vivere quotidiano.
Al contrario, ad esempio di ritratti di pregio scattati da un fotografo celebre in determinate situazioni, che nessun altro potrebbe scattare (si pensi a una foto di Annie Leibowitz come questa).
Ora, per la legge italiana le foto semplici godono di una tutela minore e di una esimente molto importante, ovvero se queste foto vengono prese dal web e già in quel momento sono prive degli elementi che ne indicano autore, provenienza e tutela, sono liberamente utilizzabili, a meno che non si provi la malafede del pubblicatore.
Cos’è la malafede del pubblicatore? Semplicemente l’essere a conoscenza che la foto è di proprietà di Tizio e che per utilizzarla è necessaria una regolare licenza a titolo oneroso, e nonostante questo, il detentore sceglie di pubblicarla ugualmente senza crediti e senza licenza.
Naturalmente la malafede non è presunta e sta quindi a chi accusa e a chi avanza contestazioni di copyright che deve provare l’esistenza della malafede in capo al riproduttore.
Naturalmente società di copyright non tengono conto minimamente di questo distinguo italiano e fanno partire lettere a tutto spiano nei confronti di chiunque.
Analogamente fanno alcuni studi legali, sorvolando del tutto sulla distinzione tra foto semplice e opera fotografica e considerando qualunque immagine come opera fotografica, avanzando richieste di migliaia di euro.
Di fronte a queste lettere inviate a tutto spiano, sono molte le persone che decidono di ignorare questi avvisi di copyright, per vari motivi.
Perché ad esempio arrivano via email semplice, quindi inidonee a costituire un regolare avviso di messa in mora come prescrive la legge. O perché ritengono che questi avvisi siano del tutto irregolari, magari al pari di una truffa. O perché non le email sono finite in spam. Alcuni decidono di ignorare gli avvisi anche quando questi arrivano tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o con email Pec, che, ai sensi della legge, costituiscono comunicazione valida e producenti effetti legali.
Premesso questo, arriviamo quindi al nocciolo della sentenza del Tribunale di Catanzaro. Comincio con un titolo: “Ignorare le le lettere e gli avvisi di copyright inviati via raccomandata o via Pec è un grave errore, da non commettere”.
Riassumo la sentenza che trovate, comunque integralmente su questa pagina: una agenzia di viaggio aveva pubblicato 4 foto delle isole Eolie e le aveva utilizzate per pubblicizzare delle escursioni organizzate dall’agenzia.
Lo studio legale Raffaele Addamo aveva inviato un avviso di violazione sulle quattro foto, asserendo che erano di proprietà di un suo assistito e che erano utilizzabili solo dietro regolare licenza e di conseguenza, invitava l’agenzia a produrre la licenza autorizzativa, in mancanza della quale si intimava all’agenzia di pagare un corrispettivo per l’utilizzo delle immagini.
L’agenzia sceglieva di ignorare la lettera e anche le altre successive, e lo studio Addamo sceglieva la strada del ricorso ex articolo 700 del codice di procedura civile che riguarda gli atti d’urgenza chiedendo la rimozione immediata delle foto e al pagamento di un corrispettivo per ogni giorno di ritardo.
Sorprendentemente, l’agenzia di viaggio sceglieva di ignorare anche questa comunicazione, che è finita di conseguenza di fronte ad un giudice.
Cosa dice la sentenza? Che l’agenzia di viaggio, pur essendo venuta a conoscenza – con l’atto dell’avvocato Addamo – che le foto fossero di proprietà di un autore e che non fossero quindi libere, sceglieva di non agire e di non rimuovere nemmeno le foto, e in questo modo si è resa colpevole di malafede, quella stessa malafede che la legge 633/41 ritiene elemento di colpa di chi, pur sapendo che le foto, semplici o opere non importa sono protette, le pubblica ugualmente.
E in questo caso la prova della malafede risiede – dice il tribunale – quanto meno dalla data di invio della prima contestazione. Alloquardo si comunica che le foto sono protette.

Di conseguenza l’agenzia di viaggio è stata condannata a pagare 400 euro per ogni foto per ogni giorno di ritardo nella rimozione. Questo per quanto riguarda l’atto d’urgenza ex articolo 700. Ma è molto probabile che da questa sentenza poi l’avvocato Addamo sia andato in tribunale anche con una causa nel merito, ovvero concernente la pubblicazione delle immagini in violazione, avendo già una prova della malafede a partire da una certa data, certificata da un tribunale.
Questa sentenza in pratica ci dice che ignorare gli avvisi di copyright (quanto meno quelli che arrivano tramite raccomnandata o Pec) e non rimuovere nemmeno la foto, significa passare dalla parte del torto e fornire prova di malafede, quanto meno a partire dalla data in cui si è venuto a conoscenza della protezione delle foto.
Come ho già spiegato in vari articoli, ignorare gli avvisi di copyright è sempre sbagliato, che arrivino o no tramite raccomandata o Pec, in quanto ignorarli significa lasciare una porta aperta a chi accusa di illecito e lasciare che queste accuse no abbiano appropriata risposta è certamente un comportamento temerario.
Ma ingnorare e nemmeno rimuovere la foto, si può configurare come un suicidio giudiziario.
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