Il pane è uno degli alimenti più sprecati. In generale il settore alimentare soffre di un tasso di spreco elevato, pari al 31% di tutta la produzione di cibo in Unione Europea. Di questo il pane arriva al 44%. Una percentuale che grida vendetta e che ha messo in moto le migliori intelligenze intenzionate ad abbassare un livello di spreco anche moralmente inaccettabile e cercare vie nuove per il suo riciclo e riutilizzo.
La prima soluzione arriva nel 2015: la startup Toast Ale ha un’idea insolita e accattivante: utilizzare il pane avanzato per farci la birra. Non è una idea nuova. Una delle più antiche ricette della birra viene dai Mesopotamici, e vede proprio il pane come ingrediente chiave.

L’azienda inizia raccogliendo il pane in eccesso da gastronomie e panifici, e lo incorpora nel processo di fermentazione con malto d’orzo, luppolo, lievito e acqua. Non sono necessarie tecnologie speciali o metodi fantascientifici, ma questo semplice procedimento può sostituire circa un terzo dell’orzo maltato utilizzato per la birra.
Oltre a condividere la ricetta online per permettere ad altri birrifici di fare la stessa cosa worldwide, i founder di Toast Ale – che oggi fornisce birra in tutto il Regno Unito – ha ideato un modello di business completamente improntato all’economia circolare. Facendo due conti, hanno finora abbattuto di 42 milioni le tonnellate di Co2 nell’atmosfera, permesso il risparmio di 171 mila mq quadri di terreno recuperato e reso fertile, e 252 mila litri di acqua risparmiati.

E non è ancora tutto: secondo i founder i profitti non devono andare agli azionisti ma reinvestito in altre opere e azioni circolari, o almeno benefiche per gli abitanti del pianeta. Conseguentemente, il 100% dei profitti di Toast Ale vanno a Feedback, organizzazione che affronta i problemi di spreco alimentare in tutte le fasi del nostro sistema alimentare.
Un esempio, quello di Toas Ale che non poteva restare isolato. E infatti su questa scia, quella del prodotto realizzato con gli scarti che fa a finanziare altre attività simili, si è posizionata anche l’australiana Loafer, birra artigianale prodotta a Goulburn, nel New South Wales dalla enorme catena di supermercati Woolworths che subito ha colto al volo l’opportunità comunicativa annunciando “la prima birra a economia circolare realizzata grazie a più di 350 kg di pane avanzato dei Woolworths Supermarkets deviati da potenziali discariche per contribuire a creare una birra unica”.
Inoltre, sulla scia dell’esempio di Toast Ale, anche Loafer destina parte dei profitti in attività circolari o benefiche: il 100% dei fondi raccolti attraverso l’acquisto di “Loafer” va direttamente a sostenere Feed Appeal, un’organizzazione senza scopo di lucro che eroga sovvenzioni a enti di beneficenza per programmi di assistenza alimentare e pasti ai cittadini vulnerabili e per l’acquisto di forni, congelatori, stanze fresche, trasporti e altre infrastrutture vitali per aiutare le onlus a conservare, cucinare e condividere pasti spesso cucinati con cibo riciclato.
E in Italia? Ogni giorno in Italia rimangono invenduti 13 mila quintali di pane, una cifra gigantesca. A Torino la birra con il pane la fa Biova Project “Beer against waste”, recuperarando il pane invenduto da supermercati, panetterie, catene di ristoranti o fast food.

Il pane viene portato in birrifici vicini ai luoghi di raccolta, viene tostato, sbriciolato e trasformato in birra. Questo processo trasforma 150 chili di pane in 2500 litri di birra artigianale permettendo di risparmiare sulle materie prime impiegate, in particolare sul malto d’orzo, col risultato che alla fine del processo produttivo si ottiene anche una diminuzione consistente di emissioni di Co2. E il contributo non si limita solo nell’impiego delle materie prime, ma anche in tutto quello che riguarda ad esempio il trasporto del pane: il pane donato infatti viene raccolto all’interno dei sacchi del malto evitando così l’utilizzo di nuovi involucri.
Scendendo giù lungo lo stivale italico, si trovano altre storie, altro pane e altre birre. Nel Mugello in Emilia Romagna la birra di pane la fa una collaborazione tra collaborazione fra il Granaio dei Medici, il Consorzio di tutela pane del Mugello, Coldiretti e Unicoop Firenze. Da un prodotto di eccellenza, il pane del Mugello, quello rimasto invenduto viene riconsegnato ai forni di produzione che, in parte viene trasformato in pangrattato rustico e, in parte, consegnato al birrificio Corzano che lo sostituisce parzialmente al malto previsto nella ricetta.
Nel Lazio la birra di pane la fanno Slow Food Italia, il birrificio Alta Quota di Cittareale (Rieti) ed Eataly con il progetto “AncestrAle”. La materia prima di qualità è fornita da Eataly Roma Ostiense: il pane da cui nasce AncestrAle, infatti, viene avanzato dal panificio del punto vendita, prodotto con le farine macinate a pietra dal Mulino Marino, il birrificio Alta Quota produce la birra che viene naturalmente venduta sugli scaffali di Eataly.
Infine Lecce: “L’OriginAle” è una birra artigianale salentina con “l’anima di pane”. Negli anni Cinquanta Michele Schipa apre il suo primo panificio e di padre in figlio in nipote, oggi Simone Schipa mescola pane e luppolo utilizzando il pane del panificio di famiglia Schipa V a Castromediano Cavallino per poi inviare l’invenduto al birrificio Malatesta di Lecce.

L’unione tra birra e pane non va in una sola direzione. C’è anche il senso inverso. Le nocciole riciclate della fabbrica di birra Jacobsen di Carslberg a Copenaghen – una birra scura fatta con nocciole tostate che producono un gusto di caramello – vanno a finire nel panificio biologico danese Genbrod che le utilizza per produrre una pagnotta a lievitazione naturale a base proprio degli scarti di nocciole del birrificio che altrimenti andrebbero sprecati.
Ma questa è un’altra storia. Ma sempre circolare.
Pubblicato su Italia Circolare