Gli anni passano per tutti e passano anche per lui, Silvio Berlusconi. Lo senti parlare, all’uscita del colloquio con Mattarella per questa crisi di governo 2019, e noti il suo eloquio affaticato, con la prevalenza dello “sch” in ogni pronuncia che prevede la esse, un misto tra inflessione milanese e conseguenze dell’odontotecnica, ma ancora con la proprietà corretta dell’intonazione giusta nel leggere in pubblico, e perciò largamente seguibile.
Appoggia correttamente le frasi, le divide in giuste pause e quando incappa nella inevitabile papera (una riforma “giustizialista” quando avrebbe dovuto dire “garantista”) le due affezionate parlamentari-badanti alle sue spalle, la Gelmini e la Bernini che non si perdono una battuta del “nonno”, subito scattano all’unisono per correggerlo, con lui che si riprende alla grande e pronuncia la frase corretta senza scomporsi.
Si nota anche un certo sincero affetto nelle due parlamentari-luogotenenti-badanti, nulla a che vedere con la volgarità a pagamento delle Olgettine o nelle tante girls e meno girls che in questi anni hanno circondato Berlusconi di un affetto in vendita a prezzi esagerati.
Di lui non c’è più nemmeno il ricordo del combattente che era. Alla fine del discorso, ringrazia per l’attenzione e rivolge a tutti i giornalisti presenti i suoi “complimenti per la professionalità con la quale svolgete il vostro lavoro”, quando solo dieci anni fa, avrebbe subito colto l’occasione per rivolgersi ai “nipotini di Stalin qui presenti, nostalgici di un tempo che fu, pieno di terrore e morte e che grazie a noi è un rischio che l’Italia non corre più” (e magari altri dieci anni prima avrebbe emesso proprio in questa solenne occasione un qualche editto bulgaro contro qualche “professionista della mistificazione e del ribaltamento della verità che non dovrebbe avere la possibilità di lavorare per un servizio pubblico pagato con soldi di tutti i cittadini”).
Ma oggi non è più così. Il Berlusconi combattente, perfido e ficcante, calamita di milioni di voti, non esiste più.
Al suo posto e sotto il trucco e parrucco sempre più evidente e invadente, c’è il nonno simpatico e distinto, divertente quanto ininfluente, che quando si sente chiamare dai fotografi si gira per mettersi automaticamente in posa col sorriso bonario e la mano alzata in segno di saluto, come l’icona di Mao-Tse-Tung, che voleva essere il padre di tutti i cinesi.
E forse è proprio così che vuol essere ricordato e perciò, fino a quando è ancora possibile, si mette nella posa giusta per passare, almeno iconograficamente, alla storia.