“E’ vero, sei un agente eccellente Maloutru. E’ questo il nostro dramma”.
La frase di Henri, il capo della sezione Infiltrati della Dgse, il servizio segreto estero francese, è carica di amarezza, divisa tra l’eccellenza della professione che Guillame Debally, nome in codice Maloutru, ha dimostrato finora e la consapevolezza di Henri e di Maloutru stesso, che niente sarà come prima, non dopo quello che è successo.
Con Le Bureau de Légendes, di cui ieri è andato in onda su Sky il finale della terza stagione, i francesi di Canal + hanno dimostrato di poter realizzare serie televisive di grande livello posizionando l’asticella così in alto che sarà difficile per chiunque poterci arrivare.
Per chi ama le storie dell’intelligence e dello spionaggio stile Le Carrè, storie di uomini e donne geniali condannati da un lavoro assurdo quanto indispensabile a dare il meglio e il peggio di sé stessi contemporaneamente, Le Bureau des Légendes, in Italia semplicemente Le Bureau, è un capolavoro assoluto da tutti i punti di vista.
Personaggi e storie costruite ad arte sulla stretta attualità (Siria, Iraq, Iran, Russia e tutti i teatri odierni del Grande Gioco contemporaneo) scrittura ad altissimi livelli, attori, a cominciare da un eccellente (anche in questo caso) Mathieau Kassovitz nei panni di Maloutru, bravissimi e perfettamente calati nelle parti, grande sapienza nell’orchestrare le sciagurate danze tipiche dell’intelligence con i suoi repentini cambi di situazione, schieramenti, opportunità, perfetta conoscenza delle tecniche e dei metodi degli agenti sul campo e delle modalità delle sale di crisi, messa a punto magistrale dei meccanismi drammaturgici che fanno salire e scendere la tensione come in una montagna russa oltre ad un grande spiegamento di mezzi, troupe, scene, riprese in Europa e in Medio oriente, dialoghi secchi e taglienti, affilati come rasoi, come lo è il lavoro che questi sciagurati manipolatori di menti e coscienze si trovano a svolgere.
Ma la caratteristica che davvero fa de Le Bureau un capolavoro è la presenza di quella caratteristica che fa del lavoro dell’intelligence – e segnatamente dell’intelligence degli infiltrati – un’attività ad alto rischio, professionale e personale, che è riassumibile sotto il termine: “il fattore umano“. In cosa consiste, lo spiega molto bene, la capo servizio Marie Jaeanne alla infiltrata Marine, nome in codice “Phénoméne: ogni agente, nella sua attività, incontra una serie di persone, alcune funzionali all’obiettivo da sorvegliare o reclutare, altre semplicemente pedine del gioco, altre ancora soltanto funzionali alla copertura. Amici, persone da frequentare, perfino amanti. Ogni agente deve essere pronto a rovinare la loro vita, se necessario, per la propria salvezza o la salvezza dell’obiettivo. Senza esitazione, senza tentennamenti. Anche in un secondo, se serve che ci si debba mettere solo un secondo. Quelle persone, inconsapevoli, sono solo prede. O si è pronti a questo lavoro e a questa legge, o l’incarico fallirà, l’agente (o altri agenti) rischieranno la vita, o forse la perderanno. Un continuo mors tua vita mea, agghiacciante e snervante, che mette a dura prova qualsiasi psiche e che non può reggere a lungo e quando regge a lungo, ci ritroviamo a che fare con persone disturbate, nel senso che magari hanno perso tratti umani fondamentali, come ad esempio, il senso di empatia, come accade, a turno a tutti i componenti del Bureau.
Ed è in uno scenario così spietato che il fattore umano si trasforma nel più grande rischio di insuccesso: infiltrati che una volta fuori, continuano la vita da infiltrato, agenti abituati a mentire che continuano a mentire ai propri superiori e spesso a se stessi, funzionari che prendono iniziative personali destinate, in tutta consapevolezza a fallire e però è impossibile non compierle, in un coacervo di rancori, sospetti, ipotesi irrealistiche conclusioni affrettate, doppi e tripli giochi talmente complessi da far dimenticare il punto e il senso da cui si era partiti.
Ma allora uno perché sceglie di fare un lavoro così allucinante, destinato a devastare qualsiasi personalità, specie se brillante e animata da alti ideali? Quale è la bussola emotiva da seguire per non perdersi nell’oscurità delle logiche contorte, dei cambi di schieramento dettati dalla ragione politica, e dalle lotte intestine tra servizi e tra servizi e terroristi.
“Lei è tornata, dopo averci lasciato – dice Henri a Phenoméne – perché è tornata, Marine? Glielo dico io. Lei è tornata perché vuole sapere, perché vuole scoprire. Lei vuole fare intelligence. Per questo è tornata”.