Sulla liberazione di Silvia Romano il governo ha sbagliato tutto quello che c’era da sbagliare e non era poco.
Abbiamo pagato (giustamente) qualche milione di euro, per avere in cambio Silvia ma abbiamo anche regalato gratis un gigantesco spot a favore della jihad islamica worldwide e tutto questo perché abbiamo un governetto ossessionato dall’apparire, dalle passerelle televisive, dalle nuvole di microfoni davanti alle quali posizionarsi sorridenti e profferire verbo, il loro verbo, quasi sempre composto dal nulla mischiato col niente, frasi fatte, modi di dire, pensierini di quinta elementare spacciati per linee di governo e di alta politica contemporanea. Ma sotto la mascherina, niente.
Non abbiamo più niente da dire in Africa da tempo, tranne il fatto di continuare ad averci militari che rischiano la vita – neanche un anno fa un attentato ad una nostra pattuglia poco fuori Mogadiscio non ha fatto morti solo per la buona blindatura del Lince e per la scarsa potenza della bomba – e che meriterebbero forse una strategia geopolitica e piani migliori da quelli di andare in teatri di guerra senza sapere bene perché e con quali prospettive. E soprattutto senza sapere come muoversi una volta successo un problema.
Ma siccome ci siamo, in Somalia come in vari luoghi dell’Africa, ma in sostanza è come se non ci fossimo, per liberare Silvia abbiamo dovuto chiedere ai servizi turchi, che hanno presto occupato nell’ex Somalia italiana il vuoto di potere lasciato da Roma, i quali ci hanno aiutato, dietro ovvio e congruo corrispettivo, non economico, ma geopolitico che è la moneta con la quale si paga e si incassa nel campo dell’intelligence.
Abbiamo dunque pagato un riscatto, un prezzo geopolitico e ottenuto la liberazione di una nostra connazionale e per questo comunque bravi tutti. Anche ai turchi che ci hanno voluto fare omaggio di una foto di Silvia con indosso un giubbotto della intelligence di Ankara, a ricordare a chi si deve dire grazie.
E va bene anche questo, a parte il ridicolo comunicato dei nostri servizi che avvisa di una possibile foto fake. Ma dico, stiamo scherzando? Siete i servizi segreti, siete voi che dovete dirci se è un fake. Andiamo bene. Se questa è la cifra dei nostri servizi segreti, c’è da chiudersi in casa per un decennio.
Si poteva e si doveva però evitare il ridicolo e un ulteriore regalo ai sequestratori; quello di consegnare a tutto il mondo l’immagine di un paese che si inchina alla sharia.
Silvia Romano aveva e ha tutto il diritto di cambiare religione, fede, convinzioni, ideali, compreso il diritto a rendersi conto in futuro se di reale conversione religiosa si è trattato o di naturale travaglio e confusione psicologica dovuta a stress traumatico profondo ma, naturalmente, ha intanto il diritto di vestirsi e coprirsi come meglio le pare senza che nessuno abbia a contestare alcunché, specie i nostri patrioti da social sempre imbattibili nel fascisteggiare o poveracciare appena ce n’è la minima occasione.
Quello che invece aveva il diritto e anche il dovere di non offrire un gigantesco spot ai gruppi jihadisti che in queste ore si passano entusiasti il video dell’arrivo di Silvia in Italia e che inneggiano alla sconfitta dell’occidente era il governo.
A liberazione avvenuta i servizi hanno avvisato il governo che Silvia ha abbracciato la religione islamica e che non aveva alcuna intenzione di togliersi la tunica islamica e vestire i suoi abiti di prima. E allora, visto quello che si stava apparecchiando, il governo poteva e doveva evitare di far rientrare Silvia in un contesto da “welcome home” da festa nazionale, dando l’immagine di un paese che si inchina alle conversioni religiose estorte dalla prigionia, all’idea che un gruppo di feroci assassini sia in realtà compassionevole, giusto e pacifico, e che quasi non di prigionia si è trattato ma di un soggiorno culturale.
Perché è questo quello che ha detto Silvia davanti alle telecamere e davanti al governo italiano. Una sequestrata appena liberata e magari in piena confusione può anche parlare così, ma un governo serio che sa valutare il peso delle parole e delle immagini non può lasciar passare simili concetti senza valutare quali altri danni stia facendo alla causa democratica e a quel che resta dei valori dell’Occidente.
Se questa è la situazione allora si valuta e si decide che Silvia ritorni dalla sua famiglia in silenzio e intimità e che parli quando si sentirà di parlare. Alla stampa, magari, ma non con un governo lì presente ad avallare quanto lei dice.
Invece niente: il richiamo della passerella e della propaganda posticcia e stracciona, vero ed esclusivo dna dei cinque stelle e dei populisti di ogni dove, ha avuto la meglio e ha offerto il nostro paese all’ennesimo suicidio politico e culturale con annessa ed ennesima pulcinellata internazionale.
Cornuti e mazziati, e avanti con la prossima passerella. Se almeno non parlassero non si capirebbe che sotto quella mascherina non c’è niente.