A Foggia c’è un detto: “E’ fatt’ a’ fin’ d’ Sciallett'”, “Hai fatto la fine di Scialletta”, che si usa per indicare uno che aveva fatto qualcosa di rilevante, conquistato una posizione, insomma fatto fortuna, per poi perderla, cadendo rovinosamente.
A una certa età non ti basta più conoscere i detti, hai la curiosità di sapere da dove nascono e a chi si riferiscono.
E così indagando ho scoperto che Scialletta era il soprannome di un commerciante di tessuti che, siamo attorno al 1500, operava nel Golfo della Daunia e sul Gargano, tappe obbligate per le navi mercantili che dal Bosforo e dallo stretto dei Dardanelli risalivano l’Adriatico in direzione Venezia dove avrebbero venduto tutte le loro merci, dalle spezie, ai profumi, e appunto ai tessuti.
Scialletta approfittava di queste tappe nel Gargano, saliva sulle navi e vedeva se c’era qualcosa da acquistare ovviamente a un ottimo prezzo, molto inferiore a quello che avrebbero pagato i commercianti di Venezia.
Pare che un giorno, da un commerciante messo male, riuscì ad acquistare un grosso quantitativo di seta, da cui ricavò dei piccoli scialli, poco più che dei fazzoletti, ma che potevano essere usati anche come copricapo, accessorio che subito andò a ruba tra le donne che lo indossavano per andare in chiesa. La cosa ebbe successo: le piccole dimensioni degli scialli di seta consentivano prezzi bassi e contemporaneamente un capo che per le donne poverissime del Gargano era di grande prestigio, la seta era un lusso, da sfoggiare la domenica e nelle occasioni importanti.
Insomma erano nati gli scialli di seta per la plebe. Da qui il soprannome, Scialletta.
Ora il nostro Scialletta grazie a questa intuizione e ai successivi acquisti che continuò a fare dalle navi in transito, ricavò somme sempre più ingenti e accumulò una discreta ricchezza. Poteva accontentarsi, diciamo così, sarebbe stato comunque un grande colpo, ma a lui evidentemente non bastava, oggi si direbbe che era un imprenditore che ha visione, e perciò decise di tentare il colpo veramente grosso: andare lui stesso ai mercati di Costantinopoli e rilevare ingenti carichi, cosa che lo avrebbe reso ricchissimo.
Allo scopo investì tutto quello che aveva guadagnato per comprare, da degli olandesi di scalo sul Gargano, una fleuta, un piccolo veliero mercantile e con questo e con un budget pronto per gli acquisti salpò alla volta di Costantinopoli.
Da quel momento non si sa molto di cosa gli successe.
Si sa solo che lo videro tornare a piedi, senza seta e senza un soldo. Non si seppe mai cosa gli fosse capitato, forse un naufragio, una truffa, forse i pirati del Mediterraneo, chissà cosa, si sa solo che aveva perso tutto. E non era solo povero, pare fosse anche malconcio fisicamente, depresso e intontito. Certo, ricominciò la sua attività di commerciante, ma non fu mai più Scialletta se non nel detto che venne creato per indicare chi aveva fatto il passo più lungo della gamba, chi era stato rovinato dall’ambizione, chi era stato vittima della sua vanità ed era finito male.
A quanto pare la vicenda di Scialletta creò anche un’altro detto, sempre a lui ispirato con la stessa morale di avvertimento per chi non si accontenta: “Da padron’ d’ bastiment a barca d’affitt” e cioè da armatore, proprietario di nave di grandi dimensioni, a noleggiatore di piccole imbarcazioni.
E niente, ogni volta che vedo Salvini in una delle sue dirette, gonfio, irato, che lancia anatemi a destra e sinistra, mi viene in mente proprio Scialletta.