Ieri Chiara Ferragni nell’intervista di Fabio Fazio (che come titolo di lavoro recava un brunovespiano: “Chiara, come posso aiutarti?”), la nostra influencer preferita (e più ricca) ha tentato di uscire dall’angolo in cui è finita, dicendo una serie di cose, tra cui la più rilevante era: In un singolo caso ho commesso un errore, la gente ha capito male e non rifarò lo stesso errore”, che naturalmente è una zappa sui piedi.

E dopo il video di scuse, anch’esso cannato alla grande se lo scopo era uscire dal casino, questa intervista è un’altra zappa autoinflitta, di una milionaria che si ostina a farsi consigliare da degli scappati di casa. O a fare da sé che forse sarebbe meglio (ma propendo per la prima ipotesi).

Infatti, come è stato dimostrato molto facilmente da SV (Selvaggia Lucarelli che mi scoccia citare così spesso come se fossi un innamorato perso), quello non è un “singolo errore” ma un metodo.

E giù di video dove vende prodotti, facendo credere che parte dei ricavati andranno in beneficienza mentre invece si tratta di metodo sistematico, per il quale io vendo e metto in mezzo la beneficienza fatta prima o dopo o chissà quando, ma mai come dovrebbe essere, cioè durante, col risultato che la beneficienza vantata, annunciata, sventolata, ma non fatta nel contesto in cui si dice (si fa capire) che si fa, aumenta le vendite, i fatturati delle aziende, il compenso stesso della Chiara Ferragni, ma non muta di una virgola i bilanci dei beneficiati.

Se lo fai una volta è un errore. Se ti si becca a farlo tante volte, non è più un errore. È un metodo.

Ora, questo è stato il metodo, c’è poco da fare e da dire. Ed è da questo che bisogna uscire, con argomenti possibilmente solidi e fondati, e non mentendo e pressapochizzando ancora una volta, dicendo che sei in buona fede, ma poi dimostri che o non hai capito di che si parla, o hai capito benissimo e allora stai mentendo ancora, e in questo caso ti meriti inchieste giudiziare a partire dalla nascita.


Perché allora ha ragione Travaglio quando dice che la Ferragni potrebbe essere come Vanna Marchi, con l’aggravante che Vanna Marchi vendeva sale a gente che credeva che guarisse dalle malattie, e non metteva in mezzo la beneficienza, ma semmai la demenza di chi poteva credere a una roba del genere (e qui dovremmo aprire un altro capitolo sul disagio mentale che sta dilagando in questo paese).

Invece niente, la Chiara riciccia a risbaglia, ancora una volta, contando sull’effetto curva ultras che ormai, complici i social, inquina qualunque discorso pubblico, tra invidiosaaaaahhhh e bastardaaaaaahhhh, impedendo di cogliere i noccioli della questione e mandando tutto in vacca.

Probabilmente, Antitrust a parte, potrebbe anche riuscirci la Chiara a uscirsene con questi trucchetti buoni per ultras, ma da una che dà lavoro – ha detto ieri – a 50 persone e due società, fossi un loro lavoratore, temerei assolutamente per il mio posto gestito da apprendisti stregoni che hanno problemi a fare due più due e che credono che il pubblico sia una massa di pecore. Ce ne sono, certo, ma non così tante come credono. Occhio.