“La Lego, storica casa di giocattoli, produttrice dei mattoncini di plastica più famosi del mondo, attraversa la crisi più grave dei suoi 73 anni di storia. La Lego perde pezzi, scrive il Financial Times, l’azienda segnala perdite nette di fatturato, doppie del previsto. Il piccolo mattoncino crolla sotto i colpi dei giocattoli cinesi a basso costo, della caduta del dollaro ma soprattutto per il fatto che i bambini non giocano più o meglio hanno cambiato giochi, anche i più piccoli hanno gusti da adulti e ai prodotti manuali preferiscono telefonini, lettori Mp3, oggetti ad alto tasso tecnologico”. (Repubblica, 8 aprile 2005).

Sette anni dopo, il 17 dicembre sempre lo stesso giornale scrive: “Lego, il gigante danese dei mattoncini da costruzione, numero uno del comparto giocattoli in Europa, prevede per questo Natale un aumento del fatturato di oltre il 20%. La crescita dell’azienda nell’anno che sta per chiudersi è stata del 17%, molto più di ogni concorrente.

Che è successo?

Di fronte alla prospettiva di chiudere per sempre, gli amministratori dell’azienda hanno deciso di provare a recuperare la propria identità. Si sono chiesti perché fanno quello che fanno, cosa significano quei mattoncini per i clienti, bambini, giovani e meno giovani. E soprattutto hanno ascoltato realmente i propri clienti. Chiedendo a bambini e ragazzi di raccontare i loro Lego, come vorrebbero vederli, cosa vorrebbero che raccontino, quale mondo immagino per loro e per noi.
E lo hanno fatto davvero. Hanno ascoltato e hanno messo in pratica i suggerimenti, creando delle linee esattamente come erano state immaginate dai loro piccoli acquirenti, che volevano, ovviamente, salvare il mondo.

purpose azienda marketing lego

Quindi ecco Lego Istitute Research, un laboratorio con scienziate e ricercatrici che fino a quel giorno non aveva visto alcuna figura femminile al proprio interno, frutto di un suggerimento di una bambina di 7 anni che chiedeva perché nei Lego non c’erano femmine.

Oppure Jungle di Lego City che invita i bambini e le bambine a riflettere sulle questioni relative a disboscamenti e deforestazioni selvagge, realizzata insieme a National Geographic Kids e in particolare all’esploratore Andres Ruzo.

Si dirà che già da tempo il marketing più accorto sonda e interroga i propri clienti, ma questa non è (solo) una operazione di marketing, ma è una vera e propria ricerca di nuova identità, basata sull’agire consapevole, sulla volontà di impegnarsi con azioni concrete, dedicando i propri prodotti alle problematica ambientali e di genere, due temi avvertiti da tutto il pianeta.

In altre parole, il profitto è stato conseguente allo scopo, non lo ha sostituito.

Lego ha spiegato la sua purpose, ovvero come legge i problemi attuali e come pensa di porvi rimedio, annunciando ad esempio il suo addio alla plastica entro il 2030. E il mercato l’ha premiata, causando la riapertura dello stabilimento chiuso e la riassunzione di migliaia di dipendenti.

“Al Lego Group vogliamo avere un impatto positivo sul mondo che ci circonda e stiamo lavorando duramente per creare fantastici prodotti di gioco per bambini che utilizzino materiali sostenibili”. (Tim Brooks, Vice Presidente del dipartimento di Responsabilità ambientale del gruppo).

Cos’è la Purpose aziendale e perché è importante

La purpose non è cosa facciamo (i prodotti) e con quali risultati lo facciamo (i ricavi). La purpose di una azienda riguarda il perché lo facciamo. Le ragioni profonde del fare impresa. L’idea che abbiamo del nostro ruolo nel mondo e del contributo che effettivamente diamo per confermarlo.

Tutto chiaro? Si. Tutti d’accordo? Non proprio.

“Una maionese non ha una purpose. Un’azienda che sente di dover definire lo scopo di una maionese, invece di concentrarsi sui fondamentali del business, ha perso la testa”.

Il rimprovero fa parte di una dura lettera inviata da Terry Smith, amministratore delegato del fondo Fundsmith – uno dei colossi finanziari che in portafoglio hanno mazzi di aziende delle quali decidono il bello e cattivo tempo sulla base dei risultati trimestrali, unica metrica che conoscono e unica Bibbia del loro agire – all’amministratore del gruppo Unilever, grande possessore di marchi e relative aziende, tra cui la maionese Hellman’s, brand storico since 1913. Il motivo della polemica? L’amministratore delegato di Unilever già da diversi anni ha impostato la sua strategia dei brand anche in base al lungo termine invitandoli a comunicare ai rispettivi clienti le rispettive purpose aziendali, a raccontare quali obiettivi di “mondo” hanno in mente.

La risposta del suo “padrone” Smith è stata pressappoco: “Gli obiettivi sono i sandwich e le insalate”.

Non sono però tutti cosi, questi dei fondi di investimento.

Larry Fink è l’amministratore delegato di Blackrock, un colosso finanziario da 10 mila miliardi di dollari. Già nel 2020, Fink aveva dedicato la sua lettera annuale agli azionisti, invitando le aziende partecipate a chiedersi “Che ruolo abbiamo nella nostra comunità”, “Come gestiamo il nostro impatto sull’ambiente?”, “Stiamo lavorando per creare una forza lavoro diversificata?”.

Come ho scritto in lettere precedenti, un’azienda non può ottenere profitti a lungo termine senza abbracciare lo scopo e considerare le esigenze di un’ampia gamma di stakeholder. Una società farmaceutica che aumenta i prezzi in modo spietato, una società mineraria che sminuisce la sicurezza, una banca che non rispetta i propri clienti: queste società possono massimizzare i rendimenti a breve termine. Ma, come abbiamo visto più e più volte, queste azioni che danneggiano la società raggiungeranno un’azienda e distruggeranno il valore per gli azionisti. Al contrario, un forte senso di scopo e un impegno nei confronti delle parti interessate aiuta un’azienda a connettersi più profondamente ai propri clienti e ad adattarsi alle mutevoli esigenze della società.In definitiva, lo scopo è il motore della redditività a lungo termine.

Anche se solo a parole (Blackrock anche nel 2022 non rinuncia a investire nel carbone per energia con impatti ambientali enormi), almeno però non si esime dal parlare del valore della purpose per qualunque azienda.

Paolo Iabichino. Pagina facebook

Sarebbe riduttivo pensare al purpose solo come una nuova tecnica di marketing”, dice Paolo Iabichino, scrittore pubblicitario, direttore creativo, fondatore dell’Osservatorio Civic Brands con Ipsos Italia.

“Agire guidati dal purpose significa attivare buone pratiche che rendono concreto il proprio impatto sociale e ambientale. Applicato al mondo del business significa ritrovare le ragioni profonde che spingono a fare impresa.chiama le aziende a un’assunzione di responsabilità, anche sociale. Oggi la corporate social responsability (CSR) non è più sufficiente. Le nuove generazioni di consumatori, i Millennial e, soprattutto, la Generazione Z, sono sempre più esigenti. L’adesione a progetti di terzi, la messa in scena di iniziative solidali non basta a soddisfare la richiesta di impegno etico che arriva da questi nuovi consumatori. E per questo le aziende sono chiamate ad agire in maniera credibile, rilevante e pertinente. Realizzando un impatto sulla società per cambiarla in meglio”.

Per saperne di più, ascolta l’intervista di Paolo Iabichino a Valori.it