Dopo la questione #avvisidicopyright selvaggi che anche grazie alla mia inchiesta ha comportato l’intervento del #garantedellaconcorrenza che ha messo fuori gioco uno degli attori principali di questo fenomeno ai confini della legalità, sono costretto a imbarcarmi in un’altra battaglia contro i ban di #facebook per contenuti e opinioni che violano – secondo loro – “gli standard della community”.

Oggi ho inviato alla Pec di Facebook, tramite il mio avvocato, formale diffida a revocare il ban che mi è stato inflitto, analogamente a quanto succede a centinaia di persone che quotidianamente, oltre al loro profilo principale, gestiscono pagine commerciali per lavoro e che sono di colpo “disattivate” a causa del fatto che la sospensione dell’account personale si estende anche alla gestione delle pagine commerciali, causando grave pregiudizio per chi oltre alle proprie attività gestisce anche pagine per conto terzi e che si vede di colpo inadempiente presso i propri datori di lavoro. Il tutto perché un sistema automatico di rilevamento contenuti non distingue tra fischi e fiaschi.

I punti chiave della diffida inviata stamane sono i seguenti:

1) Il ricorrente è giornalista di professione e sul suo profilo personale Facebook immette contenuti in grande quantità e di diversi argomenti, commenta, in diversi stili e registri comunicativi, ad esempio umorismo e satira, i fatti di attualità, politica, società e costume. Inoltre pubblica contenuti relativi alla sua attività professionale, libero professionista, articolista per testate giornalistiche, e di fornitura contenuti per aziende, attività di content marketing, social media, ghost writer, magazine on line eccetera. 

2) Allo scopo di gestire tutti questi contenuti il ricorrente, oltre al proprio profilo personale, amministra una Pagina Facebook, intestata allo stesso nome e cognome e qualifica professionale, con obiettivi di divulgazione di propri contenuti e di promozione dell’attività professionale. 

3) Il ricorrente inoltre è moderatore e social media manager (fornitore di contenuti) per due aziende, per le quali crea, e pubblica contenuti di interesse dei rispettivi target di pubblico nelle rispettive pagine facebook delle suddette aziende. 

4) Il ban di sospensione temporale di Facebook che si attiva in caso di asserite violazioni degli “standard della community” agisce sul profilo personale, impedendo qualsiasi attività sul social, ma si estende in automatico anche a tutte le attività delle pagine commerciali il cui operatore è il titolare del profilo sospeso, in pratica “disattivando” il ricorrente e impedendogli di svolgere le attività lavorative per le quali viene retribuito, mettendolo in grave pregiudizio e in pericolo con i suoi datori di lavoro a causa dell’interruzione della fornitura dei contenuti giornalieri, rendendosi egli di fatto inadempiente nei confronti delle aziende per cui lavora, con grave rischio di interruzione dei rapporti e di cause civili per inadempimento. Senza contare i danni alla reputazione professionale e i danni morali. 

5) Tutto questo è inaccettabile, se si pensa che il metodo di controllo di facebook per verificare “il rispetto degli standard della community” consiste in un software di ricerca per parole chiave che vengono rilevate in modo letterale, senza riferimento al contesto della discussione, al tono, al registro utilizzato (ad esempio satira e sarcasmo), di cui il ricorrente – iscritto all’Ordine dei giornalisti da 30 anni – nelle sue discussioni fa ampio uso, possedendo anche le fondamenta teoriche e pratiche di tale linguaggio e registro specialmente in riferimento ai limiti imposti dalle leggi in tema di diffamazione. 

Il sistema di rilevamento delle violazioni della piattaforma è del tutto inidoneo a verificare la natura delle conversazioni e non può essere preso in considerazione. 

6) Di conseguenza e per l’inefficienza del sistema di controllo della piattaforma, il ricorrente ha subito – nell’arco di un anno temporale – tre sospensioni relative a tre post/commenti, scritti con il registro narrativo dell’umorismo e del sarcasmo, pienamente intellegibili ai lettori “umani” ma non a un software automatico che non è in grado di distinguere tra contenuti lesivi e pienamente conformi alla legge e agli “standard della community”. 

Con il risultato che da un lato abbiamo la massima leggerezza e irresponsabilità nell’accertare le violazioni e dall’altro il massimo rigore e una sanzione grave e spropositata, idonea a causare danni ingenti e gravissimi, sia di natura personale come lesione alla libertà di espressione, sia di natura professionale e patrimoniale. 

Una sentenza del tribunale dell’Aquila di recente ha dato ragione ad un utente ripetutamente bannato dalla piattaforma, a cui è stato riconosciuto la lesione della libertà di espressione e ha condannato Facebook a pagare un risarcimento.

Il mio obiettivo è di portare a conoscenza della legge anche i danni che questo inefficiente sistema di rilevazione dei contenuti, arreca anche ai professionisti creatori di contenuti.

Se la diffida non avrà seguito, e il ban revocato, andremo in tribunale in Irlanda e vediamo se non riuscirò a mettere fuori gioco questo sistema demenziale e selvaggio operato da Meta che non ritiene di dover spendere qualche quattrino in più per mettere al lavoro persone in carne e ossa e non sistemi automatici profondamente stupidi e che rischiano di creare danni ingenti, sproporzionati e del tutto illeciti.