Quando il murale è stato coperto da una pubblicità del nuovo disco di Aitch, rapper di Manchester, le proteste si sono levate altissime. Perché il murale coperto raffigurava un altro eroe di Manchester, Ian Curtis, il cantate e leader dei Joy Division, morto suicida il 18 maggio del 1980 per una forma grave di epilessia.

“Non scelgo io i luoghi in cui viene pubblicizzato il mio album – ha detto Aitch sui suoi social, chiarendo che per nessun motivo permetterebbe “una tale mancanza di rispetto nei confronti di un eroe della città come Ian Curtis” e che si sarebbe impegnato per ripristinare il murale al più presto, ricevendo i ringraziamenti di Peter Hook e Bernard Sumner, compagni di band di Curtis nei Joy Division.

Del resto, il murale dedicato a Curtis, un ritratto creato dallo street artist, Akse P19, ispirandosi ad una foto scattata sul palco dal fotografo Philippe Carly, che si vedeva da ovunque uscendo ed entrando dai club e dai negozi di dischi di Ancoats, è stato spesso supportato anche dal governo locale di Manchester, legato a diverse campagne per la salute metale e la prevenzione dei suicidi.

il 10 settembre scorso il murale è stato ripristinato e Ian Curtis è tornato ancora una volta nella sua Manchester.

In questo 2023 sono 43 anni dalla morte di Ian Curtis, leader e cofondatore, paroliere e cantante dei Joy Division, un gruppo fondamentale per la musica durante la fase post-punk della fine degli anni’70 che generò nuovi stili e correnti musicali, tra cui la new wave e di cui i Joy Division furono tra i più interessanti alfieri.

Ian Curtis

La dolorosa e straziante storia di Ian Curtis è molto ben narrata in un piccolo grande capolavoro cinematografico, “Control“, film di Anton Corbijn, a lungo introvabile sulle reti televisive e sui siti di streaming. Attualmente scompare e riappare su Amazon Prime. L’ho visto in una piovosa mattina autunnale di dicembre e ho visto un film tanto bello quanto emozionante. Anche se straziante.

La storia del film è se possibile interessante quanto il film. A metà degli anni ’90 esce “Touching From a Distance“, il libro di Deborah Woodruff Curtis che sposò il diciannovenne Ian in un matrimonio che fu quasi un gioco tra ragazzi inconsapevoli del passo che stavano per fare.

Ian Curtis e Deborah Woodruff Curtis

Il giovane Ian era appena entrato in gruppetto musicale giovanile e tutti sognavano di avere successo. E come a volte accade ai ragazzi che sognano in grande, il successo si mostra altrettanto in grande, in una di quelle situazioni magiche in cui il meglio arriva subito e ne avanza ancora tanto al di là da venire. Il futuro è nostro.

Nel gruppetto, che prima si chiama “Warsaw”, e poi muta in “Joy Division”, Curtis è il ragazzo giusto al posto giusto, carino, sensibile, ottimo paroliere, una voce profonda “che sembra venire da un altro pianeta”, dice un giorno Bono Vox quando sente i ragazzi incidere dall’altra parte del vetro dello studio in cui sono entrati a curiosare. Anche gli U2 sono dei giovani di belle speranze e quella mattina del 1980 si trovano in studio perché con il gruppo di Curtis condividono lo stesso produttore.

I Joy Division sono un gruppo su cui puntare, perciò un giovane Anton Corbijn, che sogna di fare il fotografo musicale, scatta alcune foto al gruppo nella metropolitana di Londra, foto che entreranno nella storia per l’assoluta attinenza tra il bianco e nero e l’ambientazione oscura della foto con la musica colta e ipnotica dei Joy Division, immagini che lanceranno oltre al gruppo anche la carriera del fotografo olandese che in seguito collaborerà con il gotha musicale britannico e soprattutto con i Depeche Mode con cui formerà un sodalizio fatto di video musicali e direzione artistica dei loro tour che dura ancora oggi.

Alla fine degli anni 90 due produttori americani che hanno acquistato i diritti del libro biografico di Deborah Curtis sono ad un party a Dublino, dove c’è anche Bono Vox. Gli parlano della loro idea di farne un film e Bono gli dice: “dovete assolutamente convincere Anton, questo è il suo film”.

Lo fanno e Corbijn li mette in guardia: la mia idea è anticommerciale. Niente biografie classiche del rock, niente glamour, battute, damned rock’n roll life. Bianco e nero scarno, minimalista, sulla vera storia di un ragazzo, alle prese con un sogno, una grave malattia e una storia d’amore.

I due produttori accettano e imbarcano nel progetto anche la stessa Deborah e Tony Wilson che fu il primo conduttore televisivo a portare i JD nella tv britannica. Il progetto prende corpo ma i finanziamenti scarseggiano, ovviamente, chi lo prende un film così, privo dei soliti schemi narrativi di ascesa-caduta-rinascita e delle solite morali consolatorie. Ed ecco che il budget, oltre che dallo stesso Corbijn, viene coperto da Martin Gore dei Depeche Mode, che insieme tirano fuori 4.5 milioni di sterline.

E veniamo al film. Control è un piccolo grande film su un ragazzo i cui sogni si spezzano bruscamente nell’arco di qualche anno e su come la vita può schiacciarti fino a farti – letteralmente – mancare il respiro, mentre tutti attorno a te non sono minimamente colpiti e coinvolti e si chiedono cosa ti stia succedendo. Improvvisamente, ti manca il controllo su qualsiasi cosa.

Ian Curtis viene colpito da epilessia e da quel momento la sua vita non sarà più la stessa. Frequenti crisi lo debilitano e lo spossano a tal punto che anche la tipica forza giovanile che ti supporta viene via via meno, sconfitta dalla violenza della malattia.

Questo lo porterà ad una inevitabile depressione e devastanti sensi di colpa per non essere all’altezza: nei confronti del gruppo e dei suoi sogni, nei confronti del suo matrimonio – intanto è arrivata una bimba – e nei confronti di un’altra donna con cui allaccia una relazione, che più che una relazione è una disperata ciambella di salvataggio a uno che sente che sta affogando.

C’è una scena di devastante dolore e di perfetta metafora della lontananza tra Curtis e il resto del mondo, verso la fine del film. Una telefonata tra Ian e un membro della band nell’imminenza dell’inizio di una tournée dei Joy Division negli Stati Uniti, trampolino di lancio del successo mondiale di ogni gruppo:

“Non vedo l’ora di partire, mancano tre giorni e ho già tutti i vestiti pronti sul letto. E tu, li hai preparati, Ian?”.

“No, io non li ho preparati”.

Ian Curtis morirà da lì a qualche giorno, a 23 anni, e i Joy Division quella tournée non la faranno mai.

Control è un meraviglioso dolente, straziante, grandissimo film. Strepitoso Sam Riley nel ruolo di Curtis, straordinariamente somigliante e di Samantha Morton nel ruolo di Deborah. Ma tutto il film è strettamente fedele ai ricordi di un gruppo di persone che c’erano, e che hanno voluto testimoniare il loro affetto nei confronti di un ragazzo tanto talentuoso quanto schiacciato da una immensa forza negativa, con l’unico elemento capace di rendergli giustizia: la verità.

Sam Riley in Control

Control è un film da vedere assolutamente. Ma solo quando siete in grado di rivolgergli la giusta – e devota – attenzione.

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