Mancano ancora dodici chilometri all’arrivo, nel bel mezzo del deserto, quando realizza di essersi perso. E sta facendo notte. Al buio non si attraversa il deserto, a meno che tu non sia seduto sul dorso di un cammello che anche nell’oscurità totale sa dove andare.

Lui invece non sa dove andare. Sa solo che davanti a sé ha delle dune, altissime, e che al brief a inizio gara gli avevano detto di fare molta attenzione ad arrivare prima che faccia buio, altrimenti non è solo dura: è impossibile. Le dune sono alte anche tre-quattrocento metri, i fari della moto non illuminano abbastanza. Sono ripidissime da fare in salita e una assoluta incognita da fare in discesa, dove la moto prende velocità e qualunque ostacolo non visto può farti volare via. Da tutto.

È una situazione da salto nel buio. L’ennesima. E non solo da quando è cominciata questa gara.

La storia comincia anni prima, da quando ha deciso di confrontarsi con l’Inaspettato.

Devo fare la Dakar, di Iader Giraldi, non è solo un racconto sulla gara più massacrante del mondo e di come un placido imprenditore cinquantenne decida, a un certo punto, di puntare a parteciparvi e a portarla a termine, riuscendoci.

E non è neanche solo un racconto su “guardate come ce l’ho fatta” che pure sarebbe coinvolgente, ma che lascerebbe un po’ il tempo che trova, se non si trattasse anche di qualcos’altro. Di più profondo. Che riguarda il racconto dell’umano, quando si trova a fronteggiare qualcosa più grande di lui.

Un racconto che quindi non coinvolge solo il protagonista, ma anche chi legge che, dopo ogni pagina, trova tracce di sé stesso e che solleva interrogativi che riguardano tutti noi che viviamo su questo pianeta.

E che più o meno si riassume in questa domanda: “Sarei capace di fronteggiare un evento inaspettato, anche quando appare molto più grande, forte e pieno di risorse di me?”.

Perché spesso non si tratta di scegliere di fare una gara, andandosela a cercare. A volte è la gara a scegliere noi. E dalla quale non possiamo scappare.

E quando arriva l’Evento Inaspettato, quello che impatta sulla nostra vita e che non possiamo evitare, e che inizialmente ci mette a terra, siamo destinati a subirlo, o abbiamo dentro di noi una Forza, come quella dei guerrieri Jedi, che può aiutarci ad affrontarlo e magari anche a venire a patti con esso?

Non è una questione di new age o di letteratura di cappa e spada. Non ci sono cattivi da sconfiggere né cause nobili per le quali lottare. Niente pubblico, niente applausi. Solo tu e la Cosa che hai davanti. L’Evento inaspettato. Sei attrezzato per affrontarlo? Sei in grado di tracciare un percorso tra gli ostacoli? È a questa domanda che devi rispondere.

Pensiamo ad esempio a chi perde inaspettatamente il lavoro, e non ha una rete di protezione. Chi perde qualcosa di più, un familiare di riferimento. Chi si vede arrivare una malattia tra capo e collo. Chi è in bilico sul crinale di una impresa con tanti dipendenti e sente che tutto si sta inclinando pericolosamente da una parte verso uno strapiombo.

Chi è solo. E non sa a che santo votarsi.

Una situazione che Iader ha già visto e che descrive nell’uomo con la testa appoggiata sulle ginocchia, in una piazza bolognese di fronte alla statua del Nettuno. E che sembra perso nel sentire, senza vedere, la piega che ha appena preso la sua vita. Di colpo, di botto, senza preavviso o avvertimento che potesse metterlo in guardia.

“Quando la vita d’un tratto prende una direzione che non avevi messa in conto. Succede all’improvviso come quando si stacca un chiodo e cade un quadro. È stato lì per anni, e non si sa perché e come, ma in un istante succede una cosa e il chiodo si stacca e il quadro cade”.

Non sapremo mai cosa abbia colpito l’uomo che Iader osserva ai piedi di una statua. Sappiamo però, non fatichiamo a immaginarlo, che è qualcosa di più profondo e che gli sbarra la via. A lui e a chiunque di noi.

Non si può eludere. È l’Inaspettato che è arrivato a farci visita.

Come si affronta l’Inaspettato?

Per questo il libro si chiama “Devo fare la Dakar” e non “Vorrei fare la Dakar” o “Volevo fare la Dakar”. Non condizionale o imperfetto, ma imperativo. Devo farcela. E basta.

Ed ecco allora che il racconto di Iader sulla sua partecipazione alla Dakar, su come è riuscito a darsi una disciplina, un allenamento fisco e psicologico, a trovare degli alleati indispensabili per l’Impresa, e soprattutto a trovare all’interno di sé una “cazzimma”, termine napoletano che sta per tenacia mista a una certa sfrontatezza, che gli ha permesso di superare ostacoli apparentemente insuperabili ancora prima della Dakar – un frontale con un’automobile durante un allenamento, una clavicola rotta che non tornerà mai più come prima ma che può essere gestita, un distacco della retina mentre passeggiava con il cane e successiva operazione d’urgenza senza sapere se avrebbe funzionato – sta tutto lì a dimostrare che il nostro corpo e la nostra mente contengono una officina delle risorse vastissima e attrezzatissima.

Basta sapere dov’è ed entrarci convinti di voler prendere gli attrezzi giusti e mettere mano dove serve. Ed è qui che il racconto sulla Dakar diventa confortante, motivante, accogliente. È il racconto di noi.

L’Inaspettato può essere gestito anzitutto conoscendolo, osservandolo da vicino, capire cosa vuole, come si muove, “venirci a patti”, dice Iader usando un termine inglese che rende meglio l’idea: “Dealing with the Unexpected”.

Il che significa trovare la competenza delle competenze: “Può l’essere contemporaneo pensare che nella vita non ci siano sorprese o situazioni inaspettate da gestire? La strada da percorrere è sempre definita? Le risorse da mettere in campo per sopravvivere, o per avere successo, sono prescritte o in ogni momento occorre inventarsene di nuove? Ogni persona, ogni professionista deve confrontarsi con situazioni e scenari sempre più imprevedibili. Questa stessa capacità di poterlo fare è la “competenza delle competenze”.

Che più o meno coincide con quello che Nicholas Taleb che nel suo best seller Il Cigno Nero, descriveva alcuni eventi come “i grandi imprevisti”:

“Gli esseri umani tendono a essere molto arroganti nelle previsioni. Le persone sono convinte di poter prevedere con successo moltissime cose ma in realtà le loro previsioni spesso sono fallaci. Questo tipo di arroganza si chiama arroganza epistemica e ha un doppio effetto: ci spinge a sottovalutare l’incertezza e a sopravvalutare la nostra conoscenza. Per questo l’unico antidoto contro un Cigno Nero è pensare fuori dagli schemi, creando un protocollo in grado di trasformare la conoscenza in azione”.

Pensare fuori dagli schemi significa pensare oltre gli schemi. Non rifiutare ma accettare l’imprevisto. Non ignorarlo ma conoscerlo. Fino a venire a patti e alleandosi con lui. Cosi facendo l’inaspettato diventa fonte di crescita e di opportunità.

Nel libro il lettore troverà un racconto divertente su come uno spilungone “con un fisico del cacchio”, come gli disse il medico che lo visitò dopo il primo incidente in allenamento dicendogli che se davvero intendeva fare quello che aveva appena sentito dire dal paziente, allora avrebbe dovuto cominciare a fortificarsi a partire dal suo fisico ricostruendolo e rendendolo forte e resiliente. E poi la mente. È da lì che arriverà la Forza necessaria a portare a termine l’impresa.

L’Impresa di un normale lavoratore, non ricco di famiglia, che riesce a trovare i fondi necessari per partecipare ai rally di allenamento e soprattutto che riesce a trovare gli indispensabili alleati, come i ragazzi di Rally Pov, piloti professionisti ai quali Iader si propone come elemento che possa valorizzare il loro progetto, unico modo per ottenere il loro sostegno.

Una lezione da mandare a memoria per qualunque persona abbia una idea e cerchi alleati per realizzarla: scopri come diventare una risorsa per loro e loro diventeranno una risorsa per te.

E troverà anche momenti divertenti ed esilaranti, una intera cricca di personaggi come solo i partecipanti alla Dakar possono essere, apparentemente una Armata Brancaleone ma in realtà grandi professionisti uniti a debuttanti della prima ora, ma tutti con una fratellanza innata che fa sì che venga sempre prima l’umano e poi la corsa.

Tutti noi dovremmo fare la Dakar. Ognuno scelga la sua.

P.s. In questi giorni Iader è in giro a presentare il suo libro, se vi capita andatelo a trovare o seguitelo sui suoi canali Facebook e Instagram.

Foto tratte da Dealing with the Unexpected.