Il settore tessile è uno dei più inquinanti a livello globale. Ecco come cerca di riconvertirsi adottando i principi dell’economia circolare. Approfondimento pubblicato su Italia Circolare, il portale dedicato alle storie di economia sostenibile italiana.

Riciclare e riutilizzare è sempre più di moda. Anche nel tessile. Ed è una fortuna, perché il settore è da sempre uno dei principali imputati sul tavolo dell’inquinamento globale, continuamente ai primi posti per sfruttamento di materie prime: acqua, consumo di suolo, emissioni nell’atmosfera. I numeri sono impietosi. Per dare una idea, per ogni cittadino europeo, si consumano 1,3 tonnellate di materie prime, 104 metri cubi di acqua e si immettono nell’atmosfera 654 chili di CO2.
Numeri ormai insostenibili, causati da produzioni legate al fast fashion, collezioni  di abiti prodotti e venduti a prezzi bassi destinate ad essere rimpiazzate da altre collezioni nello spazio di sei mesi. Un consumo gonfiato tutto a spese dell’ambiente e della salute delle nuove generazioni, come testimoniato dal recente rapporto dell’Agenzia Europea dell’inquinamento che profetizza scenari catastrofici: nel 2050 l’industria della moda, che attualmente ricicla e converte appena l’uno per cento della sua produzione, arriverà a consumare un quarto di tutti i combustibili fossili del pianeta. E questo nonostante esempi virtuosi che pure sono sempre esistiti. Ad esempio, c’è chi già da fine Ottocento pensava a come riciclare abiti usati per riconvertirli in materia prima e reintrodurli nel ciclo produttivo.

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